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“Prima di dirti se questo vino mi piace o meno, è necessario che io conosca l’uva con il quale è fatto!” Oh, siam pazzi?

Il bilancio della mia trasferta torinese, potrei sintetizzarlo come un’esperienza divertente in un ambiente disteso e informale, a cavallo tra la gag e la profondità dei concetti espressi da tutti. La conferenza verteva sul tema della comunicazione nel mondo del vino: com’è cambiata con l’avvento dei blog, quali i vantaggi e quali i pericoli di un’informazione “fai da te” che è manovrata da persone che a volte, sconfinano in “dettagli” dei quali non hanno piena conoscenza, mutando inesorabilmente il senso del messaggio.

Informazione, perché oggi i blogger sono degli opinion leader dinamici che, a differenze delle guide, trovano nell’interazione col lettore il punto di forza del loro messaggio, in una forma in cui trasparenza e democrazia rimangono (o dovrebbero rimanere)i capisaldi.

Un ruolo fondamentale -quello della comunicazione- sia su carta sia nel web, che spesso influisce sulla formazione culturale del consumatore.

Ieri è successa una cosa che mi ha lasciato con un profondo senso di preoccupazione per il futuro. Purtroppo è accaduta in chiusura di tempo utile e quindi non c’è stata la possibilità di approfondirne ogni aspetto ma provo a riassumervi l’accaduto.

Mentre noi si parlava, due Ancelle si sono occupate della distribuzione di vino al pubblico. Due le etichette degustate, tra le quali un Ruchè. Vino rosso, ottenuto dall’omonimo vitigno autoctono del Monferrato, tanto raro quanto prezioso. Per me una novità che mi è pure piaciuta.

Una ragazza dal pubblico, alla domanda di Giancarlo Gariglio “vi piace il vino che state degustando? È buono?” ha risposto così: “prima di dirvi se il vino è buono, vorrei conoscere le peculiarità del vitigno. Altrimenti come posso?!”.

Il mio pensiero è andato subito a Crozza, quando imita Bersani: “oh ragazzzi, siam pazzzi?!!

Mi dice che è di Verona, che ha frequentato i corsi AIS e avanza un paragone con gli Amarone della Valpolicella. “li metti a confronto e capisci qual è fatto meglio, qual è il più buono”. Un territorio è una cosa, un vitigno che vinificano in tre in un territorio, è altro.

Non ho nulla di personale contro la ragazza e non è mia intenzione deriderne le convinzioni, intendiamoci, ma trovo agghiacciante che il vino sia inteso in questo modo.

Trovo incredibile che prima di capire se un vino soddisfa i sensi, sia indispensabile entrare, con una certa razionalità, nella conoscenza di una sola delle mille variabili che compongono l’identità di un vino!

Ma allora i vini dei quali non conosciamo le uve, non siamo in grado di valutarli (e mi riferisco al lavoro dei sommelier, ovvero a una valutazione degli aspetti organolettici del vino)? Oppure il sommelier -di suo- ha avuto una naturale evoluzione e come nel caso dei girini che diventano rane, ha perso la coda, guadagnando zampe talmente forti da permettergli di saltare sulla barca della tecnica del vino e di voler dire la sua?

Francamente ho paura di questo nuovo approccio al vino. Ho paura per il futuro e mi chiedo quale consumatore involuto mi troverò di fronte tra qualche anno.

C’è qualche sommelier che è in grado di spiegarmi se, come ha detto la ragazza, è davvero necessario che sappiate la tipologia di vitigno prima di esprimere se un vino vi piaccia o no?

È una cosa che fate respirare all’interno delle aule dove insegnate, è una nuova tecnica per l’espansione di un esercito che non vuole più avere confini, oppure è stata una personalissima presa di posizione della ragazza intervenuta, l’entrare a piedi pari negli aspetti organici delle varietà dell’uva, “indispensabili” per domare i vostri sensi?

Oh ragazzi, c’è da preoccuparsi davvero! Mica possiamo stare a fare i centrini all’uncinetto per gli Spartani!

Voglio fondare un nuovo partito: Libertà ai Sensi


Archiviato in:Sane "polemiche" Tagged: bersani, giancarlo gariglio, giulia graglia, luigi fracchia, maurizio crozza, monferrato, piemonte, ruchè, salone del libro, spartani, torino, vittorio rusinà Image may be NSFW.
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